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Il gioco per gli occhi di un adulto non è altro che un passatempo, spesso considerato qualcosa di poco serio, e che porta a sprecare tempo quasi per cose futili.
Infatti nella nostra cultura si incorre spesso nella difficoltà di giocare perché le cose all’insegna del mero piacere, come può essere il giocare, vengono etichettate come inutili e adatte solo ai bambini. 

Alle cose piacevoli spesso si attribuisce poco valore. Una delle caratteristiche principali della nostra cultura vede nel divertimento qualcosa di futile e negativo.

Più adatto ai bambini. Infatti il gioco per il bambino rappresenta il suo modo di rapportarsi al mondo.Ogni bambino gioca naturalmente, perché prova una sensazione di benessere. Il bambino attraverso il giocare mischia volutamente realtà e fantasia. Giocare rende il bambino creativo e disponibile all’ascolto delle sue fantasie interne. Molto spesso capiterà che tratti caratteriali del bambino vengono rappresentati nel suo giocare, e questo si noterà soprattutto se siamo difronte a giochi di gruppo.

Un bambino abituato a vincere, nel gioco di gruppo spesso vincerà e quando ciò non accadrà, quasi sicuramente questo bambino abbandonerà il gruppo.

Alcune considerazioni vanno fatte anche sullo schivare la partecipazione al gioco, sia riguardo al bambino che all’adulto. Spesso può essere sintomo di bassa autostima!

Considerando già a priori l’impossibilità di vincere e valutando scarse le proprie risorse; ci si incastrerà in una carenza assertiva che renderà difficile riuscire a sostenere la frustrazione della sconfitta.

Di conseguenza risulta più semplice non partecipare.

Fortunatamente questo vissuto appartiene ad un numero molto ristretto di bambini, in effetti per loro solitamente, ogni momento è adatto per giocare, per divertirsi. Ogni attività può essere intesa gioco.

Non c'è nessuna differenza tra il gioco e ciò che un adulto potrebbe considerare come un lavoro. La differenza giunge man mano che si cresce, quando più che pensare alla gratificazione immediata data dal gioco o da una qualunque attività, si considera lo svolgere di una qualsiasi attività solo in vista di una ricompensa futura che dia benefici a lungo termine.

Tutto sommato anche un lavoro di una persona adulta può essere considerato gioco a differenza dello spirito con cui la persona l’affronta o viceversa un’attività sentita come gioco da chi la svolge può sembrare un lavoro per chi l’osserva.

Per risolvere questo enigma dobbiamo inserire il concetto di piacere.

In effetti nel gioco si necessita comunque di un dispendio di energie che vengono rimpiazzate dalla gradevole sensazione di piacere e di divertimento.

IInnanzitutto per cercare di capire cos’è il piacere non si possono non considerare le sue profonde radici evoluzionistiche: il piacere non lo provano solo gli esseri umani o i primati, è una sensazione in realtà molto più antica di noi. È curioso sapere che esistono circuiti del piacere nei serpenti, nelle lucertole, e addirittura in animali privi di cervello come i piccoli vermi che vivono la terra. Quando questi animali mangiano un certo tipo di batteri si attivano i meccanismi di rilascio della dopamina, una tipologia molto rudimentale di piacere, possiamo dire.

Lo stimolo del piacere comunque esiste per incentivarci a mangiare, a bere, ad accoppiarci, in sostanza a sopravvivere, e la cosa interessante è che con l’evoluzione abbiamo inventato meccanismi artificiali per innescare il piacere. Un esempio? L’attività fisica. Sapevate che durante un allenamento intensivo il corpo produce molecole simili a quelle della cannabis? Sono gli endocannabinoidi che a loro volta attivano la produzione di dopamina nei circuiti del piacere.

 Ma ad attivare i circuiti del piacere possono essere il denaro, il riconoscimento sociale, fattori che riguardano le nostre relazioni con le persone; inoltre riusciamo a provare piacere anche da comportamenti e situazioni che non hanno alcun valore evoluzionistico, ma che possono essere suggeriti da proprie convinzioni culturali o religiose.

  http://www.crescita-personale.it/il-piacere/2491/piacere/3942/a

–   –  Di Laura Gazzella

Ancora attraverso il gioco, il bambino incomincia a comprendere come funzionano le cose: che cosa si può o non si può fare, impara che esiste un tempo e uno spazio per fare e in cui collocare le cose, e regole di comportamento che vanno rispettate.

L'esperienza del gioco insegna al bambino ad essere perseverante e ad avere fiducia nelle proprie capacità.

Il gioco è un insieme di regole che rendono possibile la comunicazione e creano una relazione.

C’è da sottolineare però che la stessa relazione non potrebbe esistere, se davvero tutte le regole venissero eseguite meticolosamente.
Forse la vita stessa non esisterebbe.

( ESEMPIO )

Da qui nasce la leggerezza del saper giocare, il sano umorismo e divertimento. Il gioco è caratterizzato da regole che lo identificano, ma lo stesso infrangere le regole molto spesso fa parte del gioco.

Come abbiamo citato pocanzi, il gioco è un processo attraverso il quale il bambino diventa consapevole del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le legittime esigenze di queste sue due realtà.

Le attività ludiche a cui i bambini si dedicano cambiano di pari passo con il loro sviluppo intellettivo e psicologico, ma rimangono un aspetto fondamentale della vita di ogni individuo, in tutte le fasce d'età.
Gli adulti, devono trovare il tempo da dedicare al gioco dei loro figli, e possono cogliere loro stessi l'opportunità di misurare e sviluppare le proprie risorse e le proprie potenzialità, oltre a quelle del bambino. La capacità dei genitori di giocare con i propri figli è sicuramente un buon indice di armonia familiare, così come la capacità di giocare da parte degli educatori con i bambini, garantisce a questi ultimi una sensazione di benessere psichico oltre a costituire la condizione di base per consentire loro di sviluppare una buona capacità ludica, svolgendo funzione strutturante dell’intera personalità del bambino e destrutturante della personalità già ben consolidata dell’adulto.

Il bambino attraverso il gioco diventa consapevole dell’esistenza di varie categorie di comportamento, riuscendo a stabilire e comprendere l’esistenza del ruolo.

Malgrado l’esistenza di un ruolo il gioco è caratterizzato da un basso contenuto di ansia, questo perché una delle sue caratteristiche principali è la reversibilità delle conseguenze. C’è la concreta possibilità di fare marcia indietro. Liberarsi dall’ansia delle conseguenze è ciò che rende il gioco così divertente. E piacevole anche per gli adulti.
Il piacere resta ciò che da valore al gioco insieme alla necessità umana di divertirsi e di sentirsi finalmente libero.

“L’uomo è pienamente tale solo quando gioca” afferma Schiller perché si scopre e si conosce: giocando, infatti, ogni individuo riesce a liberare la propria mente da contaminazioni e problematiche esterne, quale può essere il giudizio altrui, la preoccupazione di sembrare stupidi.
Se ci si lascia andare nel gioco avremo la possibilità di scaricare la propria istintualità, creatività ed emotività. In effetti come per i bambini anche i grandi amano giocare, anche se hanno difficoltà a palesarlo. E come per i bambini anche per gli adulti il gioco è un piacevole strumento per tener alta la soglia del benessere psicofisico.

Anche G.Bateson noto antropologo e psicologo britannico, sostiene che si è perfettamente umani solo quando si gioca e che quello che in psicanalisi viene chiamato “io” è a suo parere quel piccolissimo margine che rimane di gioco nell’esistenza dell’uomo.

Per Bateson “il gioco è un fiore nel giardino del dovere”.

In ogni adulto c’è un bambino che ama e che desidera ancora giocare, un bambino troppo spesso dimenticato, trascurato, zittito che se curato, rappresenta la nostra vitalità, l’incontro più vivido con le nostre emozioni e tutta la sfera riguardante la nostra capacità creativa.

Esistono tante forme di gioco, da quello gruppale a quello immaginativo. Anche l’arte, la musica, il ballo possono essere considerati parte integrante del farsi gioco.

“Nell’uomo autentico si nasconde un bambino che vuole giocare”

F.W.Nietzsche

 

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